Le espressioni di religiosità

Il suono della campana veniva interpretato come voce di Dio e all'udirla ci si esprimeva con il segno della croce e con detti religiosi. Le espressioni di religiosità popolare "registrate" tra la gente del mio paese, la città di Venosa, sono alla base delle mie riflessioni, delle mie ricerche e dei miei approfondimenti.
Preghiere dei vari momenti della giornata e della vita, devozioni a Cristo, alla Madonna, ai Santi e le stesse formule magico-religiose, se studiate senza ottica di parte, danno alla religiosità della gente semplice un significato carico di umanità, dove è possibile riconoscere lo sforzo del "semplice" nel tentativo dell'incontro con Dio, pur nelle ricorrenti "sbavature" che tale sforzo comprensibilmente comporta.
Cercherò di documentare su questo blog, in modo più completo ed esaustivo possibile, quanto da me sostenuto e trovato nella mia lunga ricerca, pubblicando testi scritti, immagini, foto, file audio e video originali.
Alla luce di quanto da me riscoperto e raccolto in questi anni, sento il dovere di ringraziare quanti mi hanno aiutato e dato l'opportunità di esprimere sia a me stesso e al popolo venosino, dal quale provengo, tutta la necessaria ed insostituibile opera che la “pietas religiosa” ha svolto nel corso dei secoli nella nostra meravigliosa città di Venosa, culla della fede cattolica già dalla prima metà del III sec d.C.

venerdì 28 febbraio 2014

Devozione a Cristo: il Verbo di Dio

Il vissuto della fede del popolo lucano, si manifesta in modo particolare intorno a Cristo.
La figura del Cristo domina la devozione della nostra gente:

Il Cristo nell'animo del popolo non è astratto, ma è parte integrale della vita di tutti i giorni, di conseguenza è naturale che patisca particolarità di interpretazioni. Per cui a volte il "nostro" Cristo non è "definibile" e la non "definibilità" viene accolta in innumerevoli modi.

Pertanto è giusto esiste un Cristo a seconda dell'animo e degli animi popolari.
Dalle devozioni del nostro popolo si potrà ricavare la propensione a ritenere Cristo uomo-fratello, Figlio di Dio che fa i miracoli, Cristo suscitatore di umanità, morto per noi, salvatore.
La cristologia della nostra gente esprime il collegamento della fede con la vita concreta e "segna un'esperienza di Dio in termini limitati, ma certamente incarnati in cui per davvero "il Verbo si è fatto carne".

Un aspetto che  il popolo è abituato a vedere e di Cristo è il Gesù risorto: Egli è il giudice severo e giusto, a cui si dovrà un giorno rendere conto.
Questa è una preghiera in dialetto venosino adatta ad ogni occasione: "il Verbo si è fatto carne".


Verb' sacc' e Verb' vogliie dec'
quer' ca d'ceie 'u 'nnuputent' Deje
sop' a quedda croc' vuleie scè a murè
ma quedda croc' manch' jè d' cann'
e manch' jè d' legn'
jè d' Verb' 'ngh't' e farr' mess'.
A la vall' d' G'safatt'
'ngè nu camp' d' fiaur' fatt'
peccul', grand' e arranget'
'ng' stann' guerr', sangh' e chiegh' apert'.
Mo s' n' ascenn' San Giuànn da 'u d'sert'
ch' nu lebbr' d'or' 'man ' aperet'
scev' d'cenn' 'u p'ccator' , la p'ccatreic'
ch' sap' 'u Verb' 'r Deje e na ru' deic'?
Che na lu sap' s' l'adda 'mbarà'
ch' lu sap' n' l'adda 'zignè'
ca 'u jurne du' giudezie l'adda 'busugnè
che lu deic' tre vot' 'u jurn'Deje
'u 'aveite d' lamp' e trun'
che lu deice tre vot' la deieDeje
'u 'avaite de malattie
che lu deice tre vot' la nott'
Deje 'u 'aveite d' mala mort'
che lu deice tre vot' iend' la chies' cunsacr't'
Deje l' scont' trentatrè ann' d' pecc't'
Bacchett' di firr' e frost' d' gran't'
p'cchè 'u Verb' 'r Deje non t' l' è 'mparat'?



Il Verbo conosco e il Verbo voglio enunciare
(perchè è )quello che diceva l'Onnipotente Dio
(che) su quella croce volle morire
ma quella croce non è nè di canna
nè di legno
è del Verbo che si è incarnato (fatto Messia)
Nella valle di Giosafat (*)
c'è un campo di fiori recisi,
piccoli, grandi e di medie dimensioni,
ci sono guerre, sangue e piaghe aperte
Ora scende S. Giovanni dal deserto (**)
con un libro d'oro aperto tra le mani,
diceva al peccatore e alla peccatrice:
chi conosce il Verbo di Dio e non lo dice? (non lo ascolta?)
Chi non lo sa lo deve imparare (lo deve conosce)
chi lo sa lo deve insegnare (lo conosce lo deve diffondere)
perchè il giorno del giudizio (egli) ne avrà bisogno
Chi lo recita tre volte al giorno:
Dio lo protegge dai lampi e dai tuoni,
chi lo recita tre volte al giorno:
Dio lo riguarda dalle malattie,
chi lo recita tre volte la notte:
Dio lo salva da una cattiva morte,
chi lo recita tre volte in una chiesa consacrata:
Dio gli sconta trentatrè anni di peccati.
Bacchetta di ferro e frusta di melograno
(per tutti coloro che non hanno ascoltato)
perchè Il Verbo di Dio non lo hai imparato?


(*) cfr. 2 Cronache: 20, 22-26
(**) La tradizione popolare ama ritrarre la figura di S. Giovanni Battista che durante la settimana santa, scende sulla terra per invitare alla penitenza tutte le genti ed ammonirle nello stesso tempo.

giovedì 27 febbraio 2014

Devozione a Cristo: Gesù Bambino (Prima Parte)

Il nostro popolo ha ritenuto la vita come un grande dono, per questo ogni culla era circondata da profondo rispetto e da immensa gioia.
La culla di Betlemme, oltre che segno di vita, rappresenta una risposta ad una profonda ed originaria nostalgia che si trova infondo al cuore umano, una brama intima, un appassionato desiderio che qualcosa di Dio e della Sua magnificenza possa divenire visibile ai nostri occhi.
Filosofia e religione, scienza e mistica hanno tentato sempre di afferrare un raggio della divinità per poter dire: guarda, ecco il nostro Dio.
Tentativo infruttuoso, il quarto evangelista ha detto: “nessuno ha mai veduto Dio”. Poi aggiunge: “l’Unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, Egli ce l’ha rivelato”. 
Questa non è stata una rivelazione comunicata da Dio in parole, ma vissuta con la sua personale venuta ed esistenza, perché in Lui il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi… ed abbiamo veduto la Sua gloria, gloria come dell’Unigenito del Padre”.
Egli è venuto come aveva predetto Isaia e com’è nella rispondenza dell’animo dei semplici, “ad evangelizzare i poveri, ad annunziare la liberazione ai prigionieri, a ridare la vista ai ciechi, a rendere sicuri gli oppressi…”
Tutti questi motivi sono alla base della festa del natale, in virtù di essi il Natale s’è radicato nell’animo della gente ed è divenuta la festa religiosa più popolare e nello stesso tempo più ricca di gioia e di tradizioni; addirittura più popolare e ricca delle stessa Pasqua, che nella nostra terra viene percepita con spirito ed animo notevolmente diversa.
Nell'iconografia popolare (nelle immaginette) si evidenzia un forte contrasto idealistico:
Gesù Bambino viene solitamente rappresentato dormiente o in atteggiamento benedicente nella mangiatoia con Maria e Giuseppe, collocati entro una capanna tra il bue e l'asinello;
spesso viene raffigurato neonato, con capelli biondi e ricci, avvolto in fasce, oppure in età di due-tre anni, in piedi o seduto in braccio o sulle ginocchia di Maria, o ancora durante l'allattamento o tenuto per mano sempre dalla Madonna o da san Giuseppe con la presenza o meno di  altri personaggi, come gli angeli, i re magi, i pastori ed animali come pecore.
In quasi tutte le case sul letto matrimoniale era appeso un quadro della Sacra Famiglia simile a questi:

Molte sono le varianti a questo proposito, che esprimono tutte gli stessi sentimenti: l’emozione, lo stupore, la meraviglia, la tenerezza, la gioia e l’allegria per la nascita di un Bimbo.
In altre immagini, invece c’è un contrasto davvero stridente:
Gesù Bambino viene ritratto con i simboli premonitori della passione; la passione che Egli, successivamente sa di dover affrontare e stringe tra le sue mani i simboli della sofferenza e della morte. Tutto questo ci induce a comprendere che la croce, la corona di spine, i chiodi ed altro sono simboli evocativi di altro. 

Devozione a Cristo: Gesù Bambino (Seconda Parte)

E’ evidente che queste immagini portano un messaggio, hanno un linguaggio fatto di gesti e di simboli eloquenti.
Queste immaginette o santini venivano distribuite in chiesa la notte di natale. Erano destinate al popolo, che non sapeva ne leggere ne scrivere, erano dei messaggi indirizzati agli umili ed ai poveri, ai bambini ed a tutte quelle persone semplici che non avevano bisogno di grandi discorsi per credere nel Natale. Per cui l'iconografia era molto semplice ed immediata.

I santini distribuiti non erano preziosi o impreziositi nella loro filigrana, erano semplici pezzi di carta, che ognuno conservava gelosamente in tasca, tornati a casa l'immaginetta veniva riposta al sicuro dietro la vetrinetta della credenza.
Nelle famiglie più agiate invece, i santini erano più ricchi, più preziosi, erano adornati di filigrana, decorati ed impreziositi addirittura con filo d'oro.


E’ il vero motivo della sua venuta qui tra noi e che libererà definitivamente l’uomo dalla schiavitù del peccato.
Gesù Bambino non è triste ma sorridente anche se reca in il braccio una croce; veste di rosso e blu, colori delle due nature,  umana e divina, i colori del Verbo fatto carne, e si volge idealmente verso di noi. 
Il gesto allude sempre a quello che sarà quindi, la sua passione e la sua morte e che con la sua
resurrezione ci salverà dal peccato e dalla morte.

Su altre immagini il Bambinello è raffigurato benedicente, regnante, eucaristico, predicante, guida e pastore di greggi e addirittura al pascolo di animali feroci.
Molte sono anche le rappresentazioni della Sacra Famiglia, composta appunto da Gesù oramai grandicello, Maria e San Giuseppe; si nota un Gesù ormai non più piccolino ma  di un’età di 10-12 anni circa e viene ritratto nell’atto di aiutare San Giuseppe nel lavoro di falegname, addirittura mentre si costruisce da sé la croce di legno.