Per meglio capire la religiosità popolare della terra venosina è opportuno sapere e conoscere lo standard, il genere e la qualità di vita che i nostri padri avevano.
La Lucania è stata considerata da sempre una delle aree del Sud, in cui si sono riscontrati dal punto di
vista economico e sociale i maggiori fenomeni di sottosviluppo,
depressione e arretratezza, per cui molte volte è stata assunta come
zona campione per l'esame del problema del Mezzogiorno d'Italia.
Il
basso tenore di vita delle masse rurali della sua popolazione ha
avuto il suo riflesso nella resistenza di cose e credenze.
In una
situazione di immutabilità economica e sociale le sopravvivenze di
una mentalità primitiva, che costituiscono le componenti maggiori
dell'ideologia del contadino lucano, non hanno trovato via di uscita
serbando in gran parte la loro funzione di mezzo di isolamento,
protezione e difesa.
L'unificazione d'Italia non giovò, il
dualismo denunciato da Giustino Fortunato si aggravò, con
l'aggravarsi della pressione fiscale, l'isolamento morale del popolo
minuto che sentiva troppo lontano il nuovo re dei galantuomini:
Vittorio Emanuele II.
Galantuomini e cafoni erano classi
distinte ed estreme in questa terra, portavano i segni di distinzione
totale e profonda, dal vestire allo stile di vita.
Voglio qui raccogliere alcune forme
sul genere di vita della mia gente; si tratta di una civiltà
contadina che si è conservata quasi integra fino alla fine degli anni '60,
epoca in cui i valori di quella civiltà andavano in crisi e venivano messi in discussione a causa di
rivolgimenti storici di varia natura.
Alcune di queste forme di vita
persistono nella generazione di età più avanzata e forse, anche se
solo ad un stato inconscio e subdolo, credo si trovano pure nelle ultime
generazioni.
L'attività della gente era prevalentemente agricola, visto che Venosa sorge su un altopiano, ma non disprezza attività dedite alla pastorizia e all'artigianato.
Centro di vita, nel senso che qui svolgevano quasi
per intero la loro attività il contadino e il pastore, era la
masseria: i nostri nonni ed i nostri padri ricordano ancora le grandi masserie dell'epoca come quella di Briscese, quella della signorina Rapolla, quella di Santangelo, quella di Bergamasco, quella dei Lauridia, giusto per citarne le maggiori.
La masseria, a volte, si differenziava da zona a zona, secondo del terreno ed il ruolo che
esercitava nell'attività economica; in alcune prevaleva la coltivazione dell'uva e la produzione del vino, in altre prevaleva la produzione dell'olio, in altre ancora prevaleva la produzione di grano, quasi in tutte però avevano in comune la produzione di latte e prodotti caseari.
La masseria, che fino a qualche decennio fa
rappresentava “un portato immutato delle condizioni sociali dei ben
noti tristi tempi del feudalesimo, creatore del latifondo e della
grandissima proprietà, le cui forme culturali e i tipi di impresa
erano determinati dalle condizioni sociali climatiche dell'ambiente,
della configurazione topografica del territorio della insalubrità
diffusa della scarsa sicurezza”
Nella masseria il contadino ed il
pastore vivevano di continuo l'intero tempo dell'anno a servizio del
padrone, poche volte al mese il pastore e più raramente il contadino
si recavano al paese per stare in famiglia, visite che si diradavano
nel periodo dei lavori di semina, di mietitura e trebbiatura, lavori
che duravano non poco a causa dei mezzi primitivi con cui si
portavano avanti.
Molti canti di questa gente (contenenti
le sue ansie, le sue gioie, le sue speranze, i suoi amori, i suoi
tradimenti) si ispiravano a immagini e situazioni create da queste
condizioni di vita.
La casa del contadino lucano era
condizionata da fattori socio-economici.
L'architettura popolare urbana, paesana
e di campagna, si presentava estremamente varia e denunciava, in
molti casi, una continuità di origine arcaico-antica.
Basterebbe ricordare molte abitazioni
del centro storico di venosa, che erano misere e cavernicole,
interamente abitate fino a qualche anno fa, grotte-case, antri umidi,
abitate da uomini e da animali.
“La casa del contadino non testimonia
la frattura tra il pubblico e privato tra famiglia e comunità che è
invece caratteristica dell'habitat borghese e pertanto carattere di
domesticità assai basso o nullo, dovuto alle condizioni di miseria
dei contadini e anche dal punto di vista storico-sociale all'assenza
nel nucleo familiare di funzioni produttive specializzate o diverse
dal lavoro agricolo.
L'acquisto del pane era davvero il
gradino più basso cui si potesse giungere nella considerazione
sociale, mentre quanto più erano i tipi e la quantità di derrate
che la famiglia poteva fare a meno di acquistare tanto più prospera
e degna di rispetto appariva”.
Il legame sociale del lucano si fondava
principalmente sulla famiglia, che costituiva la misura di tutte le
cose, e dal cui interesse veniva regolato l'interesse stesso
dell'individuo e della comunità.
... Continua: Genere di vita (Seconda parte)