Tra la fine del VI secolo ed i primi del V a.C., entrarono nella regione i colonizzatori greci, i quali si insediarono nella pianura litoranea ionica da Metaponto ad Eraclea che così prese a far parte della Magna Grecia.
Tuttavia i rapporti tra i colonizzatori e le popolazioni interne, contadini e pastori custodi di una civiltà nascosta, che al contrario di quella greca, non erano pacifici. Giù nel corso del V secolo a.C. i lucani si erano stabiliti nella valle del Crati, (ai confini tra lucania e calabria) e nella pianura di Posidonia (Paestum), penetrando nei territori di Metaponto e di Eraclea, che all'inizio del IV secolo furono alquanto lucanizzati. Sopraggiunsero poi i Sanniti e i Romani e quest' ultimi occupando Venosa nel 291 a.C. iniziarono a fare della regione una colonia romana.
Durante le guerre puniche, ancora una volta i Lucani furono contro i Romani, ma con la vittoria di Roma i paesi ed i villaggi compromessi con i punici furono rasi al suolo ed i cittadini mandati a morte o ridotti in schiavitù.
Così i lucani ad opera dei Romani finirono con l'essere messi fuori dalla storia.
Tra la fine del IV secolo e la prima metà del V dopo Cristo, penetrò in Lucania il cristianesimo, ma durante la guerra greco-gotica si notavano molte sopravvivenze pagane. Soltanto la diffusione del monachesimo orientale decise della penetrazione della religione cristiana nell'intera regione con culto e iconografia propri della chiesa orientale.
Al tempo dei Normanni e di Federico II la regione emerge, si aprì la strada alla fortuna dei fratelli di Altavilla come sede di legittimazione dei loro diritti nell'Italia meridionale.
A Melfi nel Concilio del 1059 Nicolò II elargì a Roberto il Guiscardo l'investitura di Dux Apuliae.
Qui c'era la chiusura ad ogni slancio di progresso ad opera del baronaggio, che, insediatosi dappertutto, mortificherà, nel tempo in virtù del suo spirito di servaggio feudale, qualsiasi possibilità di sviluppo politico e sociale per molto tempo.
Il processo di smantellamento delle strutture feudali, qui più che altrove è stato lento ed impacciato.
Le medesime oppressioni e sfruttamento fu fatto ad opera sia del governo napoleonico che quello borbonico. I risultati del plebiscito di annessione, come non potevano cancellare gli interessi e i risentimenti chiusi nel ristretto orizzonte locale, così non potevano trattenere i contadini dal far ricorso alla forza per riproporre le ricorrenti questioni sociali.
Così scriveva Racioppi (1*): "il territorio che era del Comune, si assottigliò nel primo ottocento di quotidiani ritagli e lungo un quarto di secolo il demanio comunale, aperto per diritto all'uso di tutti i cittadini, venne chiuso di fatto dai più potenti e più ricchi di essi: pochi legittimando il possesso in virtù di migliorate culture, i più occupandolo a ragione di pascoli".
"Dopo il 1830- continua ancora il Racioppi - la popolazione si vide raddoppiata di numero, si sentì ristretta sullo spazio sempre più angusto delle terre acconce a culture e in ragione diretta del numero, in ragione inversa dello spazio crebbe intanto la ragione degli affitti delle terre, che per la massa dei popolari era unica e sola industria".
Il fenomeno della questione meridionale dopo l'Unità d'Italia e l'imperversare del brigantaggio politico furono manifestazioni legate allo spinoso problema della terra.
E il tutto delle sorti della più ignorata provincia del Regno può rimanere affidato più agli organi di polizia che alle cure di uomini pensosi".
"Esodo" da quel momento, episodio tristemente costante nella storia del popolo lucano spinto di continuo verso terre sconosciute, da quelle delle lontane Americhe a quelle dell'Europa come la Germania, la Svizzera, la Francia ed il Belgio, ai paesi industrializzati della nostra Italia come Milano e Torino.
(1*) Racioppi Giacomo (1827-1908, storico, politico ed economista Lucano)
(2*) Giovanni Masi (docente storico pugliese)
(3*) Giustino Fortunato (1848-1932, politico, storico e meridionalista lucano)
Nessun commento:
Posta un commento