Le espressioni di religiosità

Il suono della campana veniva interpretato come voce di Dio e all'udirla ci si esprimeva con il segno della croce e con detti religiosi. Le espressioni di religiosità popolare "registrate" tra la gente del mio paese, la città di Venosa, sono alla base delle mie riflessioni, delle mie ricerche e dei miei approfondimenti.
Preghiere dei vari momenti della giornata e della vita, devozioni a Cristo, alla Madonna, ai Santi e le stesse formule magico-religiose, se studiate senza ottica di parte, danno alla religiosità della gente semplice un significato carico di umanità, dove è possibile riconoscere lo sforzo del "semplice" nel tentativo dell'incontro con Dio, pur nelle ricorrenti "sbavature" che tale sforzo comprensibilmente comporta.
Cercherò di documentare su questo blog, in modo più completo ed esaustivo possibile, quanto da me sostenuto e trovato nella mia lunga ricerca, pubblicando testi scritti, immagini, foto, file audio e video originali.
Alla luce di quanto da me riscoperto e raccolto in questi anni, sento il dovere di ringraziare quanti mi hanno aiutato e dato l'opportunità di esprimere sia a me stesso e al popolo venosino, dal quale provengo, tutta la necessaria ed insostituibile opera che la “pietas religiosa” ha svolto nel corso dei secoli nella nostra meravigliosa città di Venosa, culla della fede cattolica già dalla prima metà del III sec d.C.

venerdì 7 marzo 2014

Lineamenti storici

I lucani abitano queste terre fin dalle origini più antiche, le popolazioni indigene erano dedite per lo più alla pastorizia. 
Tra la fine del VI secolo ed i primi del V  a.C., entrarono nella regione i colonizzatori greci, i quali si insediarono nella pianura litoranea ionica da Metaponto ad Eraclea che così prese a far parte della Magna Grecia. 
Tuttavia i rapporti tra i colonizzatori e le popolazioni interne, contadini e pastori custodi di una civiltà nascosta, che al contrario di quella greca, non erano pacifici. Giù nel corso del V secolo a.C. i lucani si erano stabiliti nella valle del Crati, (ai confini tra lucania e calabria) e nella pianura di Posidonia (Paestum), penetrando nei territori di Metaponto e di Eraclea, che all'inizio del IV secolo furono alquanto lucanizzati. Sopraggiunsero poi i Sanniti e i Romani e quest' ultimi occupando Venosa nel 291  a.C. iniziarono a fare della regione una colonia romana.

Nella guerra tra Roma e Taranto, dove intervenne Pirro, i Lucani per vendicarsi dei vari torti subiti dai Romani si schierarono contro di essi, ma dopo la vittoria dei Romani a Benevento i Lucani finirono col rimanere assoggettati ad essi.  
Durante le  guerre puniche,  ancora una volta i Lucani furono contro i Romani, ma con la vittoria di Roma i paesi ed i villaggi compromessi con i punici furono rasi al suolo ed i cittadini mandati a morte o ridotti in schiavitù.
Così i lucani ad opera dei Romani finirono con l'essere messi fuori dalla storia.


Nell'età medioevale arrivarono i Goti, i quali confiscarono terre e bestiame, ci furono le infiltrazioni arabe e saracene che vi aggiunsero altre rovine, e la dominazione bizantina, che per la sua influenza, può dirsi come la maggior componente in quel periodo della storia lucana.
Tra la fine del IV secolo e la prima metà del V dopo Cristo, penetrò in Lucania il cristianesimo, ma durante la guerra greco-gotica si notavano molte sopravvivenze pagane. Soltanto la diffusione del monachesimo orientale decise della penetrazione della religione cristiana nell'intera regione con culto e iconografia propri della chiesa orientale.

Vennero i Longobardi, la cui dominazione fu più popolare di quella bizantina; però solo con il ritorno dei bizantini nell'Italia Meridionale nell'XI secolo, la Basilicata (da basilikoi o funzionari del basi'eus) si ricostituì in regione autonoma. 
Al tempo dei Normanni e di Federico II la regione emerge, si aprì la strada alla fortuna dei fratelli di Altavilla come sede di legittimazione dei loro diritti nell'Italia meridionale. 
A Melfi nel Concilio del 1059 Nicolò II elargì a Roberto il Guiscardo l'investitura di Dux Apuliae.
Con gli Aragonesi e gli Angioini la Basilicata cadde in preda all'arbitrio della feudalità e mentre altrove nella penisola si notavano i segni della primavera del Rinascimento.
Qui c'era la chiusura ad ogni slancio di progresso ad opera del baronaggio, che, insediatosi dappertutto, mortificherà, nel tempo in virtù del suo spirito di servaggio feudale, qualsiasi possibilità di sviluppo politico e sociale per molto tempo.


Il processo di smantellamento delle strutture feudali, qui più che altrove è stato lento ed impacciato. 
Le medesime oppressioni e sfruttamento fu fatto ad opera sia del governo napoleonico che quello borbonico. 
I risultati del plebiscito di annessione, come non potevano cancellare gli interessi e i risentimenti chiusi nel ristretto orizzonte locale, così non potevano trattenere i contadini dal far ricorso alla forza per riproporre le ricorrenti questioni sociali. 
Così scriveva Racioppi (1*): "il territorio che era del Comune, si assottigliò nel primo ottocento di quotidiani ritagli e lungo un quarto di secolo il demanio comunale, aperto per diritto all'uso di tutti i cittadini, venne chiuso di fatto dai più potenti e più ricchi di essi: pochi legittimando il possesso in virtù di migliorate culture, i più occupandolo a ragione di pascoli". 
"Dopo il 1830- continua ancora il Racioppi -  la popolazione si vide raddoppiata di numero, si sentì ristretta sullo spazio sempre più angusto delle terre acconce a culture e in ragione diretta del numero, in ragione inversa dello spazio crebbe intanto la ragione degli affitti delle terre, che per la massa dei popolari era unica e sola industria".
Il fenomeno della questione meridionale dopo l'Unità d'Italia e l'imperversare del brigantaggio politico furono manifestazioni legate allo spinoso problema della terra.

"Il massaro ", scrive il prof. Giovanni Masi (2*), "indicò i mezzi della repressione del brigantaggio in Basilicata, non tanto mediante conferimento di facoltà eccezionali agli organi di polizia, quanto nell'affrancazione delle terre dei residui feudali e nella composizione della questione demaniale oltre che nell'incremento dei lavori pubblici. 
E il tutto delle sorti della più ignorata provincia del Regno può rimanere affidato più agli organi di polizia che alle cure di uomini pensosi". 




Sostiene ancora il prof. Giovanni Masi: "Per questo, come notò Giustino Fortunato (3*), anche la parte più illuminata della borghesia lucana si chiuse, scontenta di tutto nel suo sterile isolamento, mentre i contadini effettuavano un cambiamento d'aria e d'ambiente che assunse a fine secolo i caratteri di un vero e proprio esodo"



"Esodo" da quel momento, episodio tristemente costante nella storia del popolo lucano spinto di continuo verso terre sconosciute, da quelle delle lontane Americhe a quelle dell'Europa come la Germania, la Svizzera, la Francia ed il Belgio, ai paesi industrializzati della nostra Italia come Milano e Torino.

(1*) Racioppi Giacomo (1827-1908, storico, politico ed economista Lucano)
(2*) Giovanni Masi (docente storico pugliese)
(3*) Giustino Fortunato (1848-1932, politico, storico e meridionalista lucano)

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